Cibi fritti e rischio cardiovascolare: studio sulla popolazione cilena
Un’analisi statistica sulla correlazione tra consumo di cibi fritti e rischio cardiovascolare tra giovani universitari cileni.
Il Cile è uno dei Paesi con il maggior numero di consumatore di cibi fritti, per questo motivo è stato scelto come scenario per condurre un’indagine statistica finalizzata ad osservare l’incidenza di questa abitudine sulla percentuale di rischio cardiovascolare. Secondo una ricerca risalente al 2010, sembra che la popolazione cilena tra i 15 ed i 64 anni di età presentasse numeri piuttosto preoccupanti a riguardo:
- il 64,5% presentava una condizione di sovrappeso-obesità;
- l’88,6% dichiarava di condurre stile di vita sedentario;
- il 35% presentava sindrome metabolica.
Come osservano gli autori, essendo il Cile una nazione in via di sviluppo, la popolazione – negli ultimi decenni – ha profondamente modificato i propri comportamenti alimentari, soprattutto i ragazzi universitari fuori sede registrano una crescente tendenza alla sedentarietà e alla familiarità con i fast food.
“Questi prodotti alimentari hanno un’elevata densità calorica, bassi valori nutrizionali e alte concentrazioni di sapore e soddisfano l’appetito a breve termine”, osservano gli studiosi, che hanno effettuato un’indagine per comprendere pienamente questo trend.
Lo studio
L’indagine, iniziata durante la seconda metà del 2014, è uno studio quantitativo, descrittivo e trasversale, incentrato sulla presenza di rischio cardiovascolare in un campione rappresentativo di studenti universitari che consumavano alimenti fritti acquistati da venditori ambulanti.
Storia personale e familiare, dati socio-economici e socioculturali, storia di morbilità, livelli di attività fisica, pressione sanguigna, glicemia, profilo lipidico e misurazioni antropometriche (peso, altezza e circonferenza della vita), sono stati raccolti in una forma convalidata da esperti.
La frequenza di consumo dei cibi fritti è stata raccolta tramite questionari.
ESITI – Dal campione di 212 studenti universitari (32 uomini e 180 donne) che hanno partecipato volontariamente all’indagine, sono emersi i seguenti risultati:
- il 93,3% ha consumato questi alimenti;
- il 66% ha riferito di consumarli più di 4 volte al mese;
- l’89,2% ha mostrato una storia familiare di rischio cardiovascolare;
- il 34% presentava un elevato indice di massa corporea;
- il 33,5% presentava un colesterolo LDL alto;
- il 22,6% mostrava una circonferenza della vita elevata;
- il 12,7% presentava una condizione di sindrome metabolica.
Sette dei dodici valori elevati di rischio cardiovascolare erano più alti negli uomini, tra cui indice di massa corporea, glicemia, pressione massima, pressione minima, colesterolo HDL e colesterolo LDL. Le donne, invece, hanno fatto registrare variazioni più significative per quanto riguarda colesterolo totale, trigliceridi e sindrome metabolica.
In generale, la prevalenza di valori elevati di rischio cardiovascolare è risultata maggiore per gli studenti che consumavano cibi fritti più di 4 volte al mese.
“Questa situazione è preoccupante – concludono gli autori – poiché il contenuto calorico e nutritivo è basso e potrebbe generare una tendenza ad acquisire patologie cardiovascolari nel medio termine”.
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