Apnea ostruttiva del sonno: la dieta può aiutare?

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Apnea ostruttiva del sonno: la dieta può aiutare?

Uno studio ha posto l’attenzione sull’associazione tra apnee notturne e alimentazione, indagando sul possibile impatto della correzione alimentare sulla gestione di questo disturbo: ecco gli esiti.

L’apnea ostruttiva del sonno, condizione caratterizzata da un collasso delle vie aeree superiori dipendente dallo stato del sonno che si manifesta con interruzioni nella respirazione notturna, rappresenta un grave problema di salute pubblica mondiale che colpisce fino a 936 milioni di adulti. L’obesità si configura come la causa principale, motivo per cui questa condizione è spesso associata anche a sindrome metabolica e, in generale, alterazioni cardiovascolari (ipertensione, diabete ecc.).

L’alimentazione, quindi, ricopre un ruolo prioritario per l’insorgenza di questa condizione. Allo stesso modo, correggere il regime alimentare potrebbe rappresentare un possibile approccio per ridurre l’intensità e la frequenza delle apnee. Approccio potenzialmente integrabile al trattamento CPAP, ovvero alla terapia riconosciuta dal mondo medico basata prevalentemente su una pressione positiva delle vie aeree tramite dispositivi di ventilazione notturna. 

Partendo da questa ipotesi, un team di ricercatori provenienti dall’Università di Granada, in Spagna, ha condotto uno studio con l’obiettivo di approfondire il possibile impatto della dieta sul trattamento di questo disturbo, con un focus sui soggetti obesi o in sovrappeso.

Alimentazione e apnee notturne: lo studio

Gli autori hanno arruolato 89 uomini spagnoli di età compresa tra 18 e 65 anni con apnea ostruttiva del sonno da moderata a grave e un indice di massa corporea (calcolato come peso in chilogrammi diviso per altezza in metri quadrati) di 25 kg/m2 o più che stavano ricevendo il trattamento CPAP.

I partecipanti sono stati randomizzati a ricevere le cure abituali (terapia CPAP) o un intervento di perdita di peso e stile di vita di 8 settimane che prevedeva un cambiamento del comportamento nutrizionale, esercizio aerobico, igiene del sonno e cessazione di alcol e tabacco. 

L’endpoint primario era la variazione dell’indice di apnea-ipopnea dopo 6 mesi di intervento. Gli endpoint secondari comprendevano i cambiamenti in altri esiti relativi al sonno, il peso corporeo e la composizione, il rischio cardiometabolico e la qualità della vita correlata alla salute.

ESITI – Il trattamento alimentare ha comportato miglioramenti clinicamente significativi e sostenibili nella gravità delle apnee e nelle comorbidità, nonché in termini di salute e qualità della vita. 

Il gruppo di intervento per la perdita di peso e lo stile di vita ha avuto una riduzione clinicamente significativa dell’AHI del 51% all’end point dell’intervento. Il 15,0% dei partecipanti ha raggiunto la remissione completa e il 45,0% non ha più richiesto la terapia CPAP. 

Dopo 6 mesi, la riduzione dell’AHI è stata del 57%; la remissione completa delle apnee notturne è stata raggiunta dal 29,4% dei partecipanti e il 61,8% non ha più richiesto la terapia CPAP. Il gruppo di intervento in particolare ha mostrato riduzioni simili del 7% del peso corporeo, del 19% della massa grassa e del 26% del tessuto adiposo viscerale a 6 mesi dall’intervento. 

Inoltre, questi risultati sono stati rafforzati dall’evidenza di un significativo miglioramento di importanti end point cardiometabolici coinvolti nella patogenesi delle malattie cardiovascolari

I meccanismi attraverso i quali la perdita di peso e il cambiamento dello stile di vita migliorano sostanzialmente l’apnea ostruttiva del sonno e le condizioni coesistenti sono probabilmente multifattoriali”, precisano gli autori. 

Data l’elevata prevalenza dell’apnea ostruttiva del sonno, la sua complessa e reciproca interazione con l’obesità e il fatto che entrambe le condizioni sono facilmente curabili attraverso un intervento comportamentale integrato, a detta degli autori “gli operatori sanitari e i responsabili politici potrebbero considerare questo approccio come una strategia centrale per affrontare il suo impatto sostanziale sulla salute e il benessere delle popolazioni”, si legge tra le conclusioni.

FONTE: JAMA Network 

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