Lampone, sambuco e impatto della cottura sulle antocianine
Meglio mangiarli cotti o crudi? Risponde uno studio.
È vero, la frutta viene mangiata prevalentemente cruda, però in alcune pietanze tradizionali viene utilizzata cotta come condimento per dare una nota agrodolce, in particolare il lampone ed il sambuco sono utilizzati soprattutto nelle gastronomie tipiche delle zone di montagna per conferire ai piatti uno sprint balsamico.
Ma dal punto di vista delle sostanze nutrienti, è meglio mangiarli cotti o crudi? A porsi la domanda è stato un team di ricercatori portoghesi che ha analizzato la variazione della quantità di antocianine presente nei lampone e nella sambuca in seguito alla cottura.
Le antocianine sono una famiglia di antiossidanti dai molteplici benefici per l’organismo riscontrabile nella frutta e nella verdura di colore rosso-violaceo, in particolare nei frutti di bosco e nel vino rosso.
Lo studio
È stato studiato l’effetto di vari metodi di cottura (bollitura, cottura a vapore e cottura al forno) e di varie ricette (marmellata, crumble, muffin e mousse) sulla quantità di antocianine riscontrabile nel lampone e nel sambuco.
In generale, è stata osservata una riduzione del contenuto di antociani dopo la cottura, indipendentemente dal processo di riscaldamento, in misura maggiore questa bacche di sambuco. Tuttavia, circa il 70% degli antociani è stato recuperato dalla frutta e dall’acqua utilizzata nel processo di cottura.
Il contenuto degli antiossidanti è diminuito maggiormente nella marmellata e nelle ricette con bicarbonato di sodio. Al contrario, la mousse ha preservato quasi interamente la concentrazione di antociani.
“Tutti i metodi di cottura testati hanno portato a una perdita del contenuto originale di antocianine nei frutti di bosco ma, nelle ricette senza trattamento termico, la perdita di antociani è stata minima. Questi risultati supportano l’incorporazione dei frutti di bosco nei processi di cottura, in particolare quelli che non richiedono calore, come valida alternativa per aumentare il consumo fitochimico degli antociani”, hanno concluso gli autori.
FONTE: International Journal of Gastronomy and Food Science

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